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Paola Menada
Reggio Emilia, 22 novembre 1903
Reggio Emilia, 22 ottobre 2002
Una breve biografia scritta da Luisa Bosi in occasione del centenario della fondazione del corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa
tenutosi a Reggio Emilia il 18 novembre 2008.
Commemorazione del
22 Dicembre 2023
Archivio fotografico link.
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Era il 1935 quando Paola
Menada si iscrisse al corso per conseguire il diploma di infermiera
volontaria della Croce rossa: da allora, per oltre quarant’anni,
la sua vita è stata dedicata all’opera di volontariato,
conservando immutati nel percorso da semplice crocerossina ad
Ispettrice Nazionale delle Infermiere Volontarie, lo spirito di
sacrificio ed l’entusiasmo che l’avevano animata quando,
svolgendo il tirocinio, si era avvicinata per la prima volta agli
ammalati nelle corsie dell’ospedale cittadino.
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Certamente si trattò di
una scelta effettuata in piena autonomia e consapevolezza, ma per
comprenderla appieno, è indispensabile riferirsi al particolare
ambiente familiare in cui era cresciuta. Era nata a Reggio Emilia nel
1903, secondogenita di cinque figli e apparteneva ad una famiglia fra
le più conosciute e stimate all’epoca.
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Il padre Giuseppe Menada, di
origine piemontese, si era trasferito da Milano a Reggio nel 1886 in
qualità di Ispettore delle ferrovie locali, ma accanto a questo
incarico professionale svolgeva il ruolo di fiduciario della milanese
Banca Commerciale. La sua presenza in una cittadina di provincia
ancorata ad una economia prevalentemente agricola, dove tuttavia si
andavano delineando i primi segni di uno sviluppo industriale, era
stata determinante per imprimere una svolta decisiva al processo in
corso, grazie ai contatti con il mondo della finanza, allo spirito di
iniziativa e alle non comuni doti di mediazione.
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Eletto presidente della locale Camera di commercio e più tardi negli anni venti,
dell’Unione Industriali, fu il principale promotore di imprese destinate a grande sviluppo come le
Officine Meccaniche Reggiane, il Calzificio reggiano ed altre ancora.
Schierato sul fronte dei liberali moderati, partecipò alla vita
politica cittadina nei primi anni del secolo e fu sindaco e
podestà dal 1925 al 1929.
All’impegno
nel mondo delle imprese e nella vita pubblica univa una particolare
attenzione ai bisogni sociali e nel 1914 decisivo fu il suo ruolo nella
fondazione della Croce Verde della quale fu presidente fino alla morte
avvenuta nel 1931. Altra istituzione da lui promossa nel 1921
con la collaborazione della moglie fu il Dispensario lattanti e divezzi
rivolto all’assistenza dei bambini delle madri lavoratrici o in
condizioni economiche disagiate.La madre di Paola Menada, Maria
Spallanzani ,aveva un ruolo di primo piano nel mondo del volontariato e
della beneficenza. Già “dama” della Croce rossa ai
tempi della guerra libica, era divenuta infermiera volontaria nel 1915
all’inizio della grande guerra. Nominata Ispettrice
provinciale da Elena d’Aosta, aveva guidato le crocerossine
reggiane nell’opera di assistenza ai soldati feriti che
affluivano dal fronte accanto al padre Piero, per molti anni presidente
della Croce rossa locale, al quale nel periodo bellico, venne affidato
il compito di organizzare i treni ospedale.
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Mantenne l’incarico di
Ispettrice provinciale fino alla morte avvenuta nel
1942.L’ambiente familiare in cui i valori della
solidarietà erano fortemente radicati e l’esempio della
madre ebbero sicuramente un ruolo determinante nella scelta di Paola
Menada che iniziò il suo impegno nella Croce rossa, quando
già aveva superato i trent’anni.
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Aveva ricevuto
un’educazione di prim’ordine come si usava allora per le
ragazze di buona famiglia, severa per certi aspetti, ma ricca di
opportunità: istruzione elementare fra le pareti domestiche,
istitutrice tedesca per imparare la lingua nella prima infanzia,
lezioni di pianoforte e di pittura, ma anche addestramento ai
“lavori donneschi” come il ricamo e il lavoro a maglia e
infine il diploma di maestra elementare nella scuola pubblica.
Appartenendo ad una famiglia
di condizioni agiate non erano mancati divertimenti e viaggi e una vita
sociale vivace accanto al
volontariato praticato fin dalla prima giovinezza nella forma di
regolari turni di assistenza nel nido d’infanzia del Dispensario
lattanti e confezione di capi di maglieria destinati ai bambini poveri.
Dopo il biennio di corso frequentato con la sorella Franca,
conseguì il diploma di infermiera nel 1937.
In seguito perfezionò
la sua preparazione con diverse specializzazioni fra le quali
quella
di “ferrista”, assistente in sala operatoria, ruolo
professionale che ebbe modo di esercitare nell’ospedale cittadino
fino al 1940.
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Con l’entrata
dell’Italia in guerra, Paola Menada scelse il compito più
difficile e rischioso, quello di prestare il servizio di infermiera
volontaria negli ospedali militari allestiti sui vari fronti. La sua
prima missione si svolse alla fine del 1940 sulla nave ospedale
“Po” che trasportava i soldati feriti dalle coste
dell’Albania a Brindisi. Quanto fosse rischioso quel compito si
comprese appieno quando pochi mesi dopo la nave “Po” venne
silurata e distrutta dalle bombe degli inglesi e tre crocerossine
persero la vita in quell’occasione.
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La notizia della disgrazia la
raggiunse nella primavera del 1941, mentre si trovava in servizio
presso l’ospedale militare “Di Summa” a Brindisi dove
restò quattro mesi, svolgendo la funzione di capogruppo. Era il
primo gradino di un percorso che l’avrebbero portata rapidamente
ad incarichi di sempre maggiore responsabilità. Infatti nella
primavera del ’42 partì per la Cirenaica in Libia dove la
aspettava il ruolo di Ispettrice. Non poté condurre a termine la
missione in Africa Orientale, costretta a rimpatriare per le gravi
condizioni di salute della madre alla quale era legata non solo
dal naturale affetto ma da una forte sintonia di ideali e valori.
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Maria Menada morì nel luglio di quello stesso anno,
lasciando un grande vuoto fra le crocerossine reggiane che per molti
anni aveva guidato come Ispettrice provinciale; molti vedevano in Paola
l’ideale continuatrice della lunga opera di volontariato della
madre nel comitato locale e così avvenne.
La notizia
della nomina raggiunse sorella Menada mentre si trovava in servizio
presso il “Centro Mutilati Putti” di Bologna, uno dei tanti
ospedali creati allora dalla C.R.I. per offrire assistenza ai militari
divenuti disabili.
Ma il suo
obiettivo principale era già dai primi mesi della guerra quello
di essere inviata sul
fronte russo e la sua domanda, dopo un primo rifiuto, fu accolta.
Raggiunse
l’ospedale italiano di Leopoli dove si andavano riversavando ad
ondate successive i reduci dell’Armir in ritirata,
all’inizio del febbraio del ’43. Qui vide scene che non
poté mai
dimenticare.
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Scrisse nel suo diario:
“Feriti ovunque, nei corridoi, sul pavimento, in sacconi di
paglia, senza lenzuola, senza camicia. Quasi tutti congelati, ridotti a
scheletri, con barbe lunghe, occhi sbarrati e affamati, insistentemente
chiedono pane”. Si trovò a fronteggiare una situazione
piena di difficoltà, non solo per le vicende belliche che
volgevano irrimediabilmente verso una tragedia immane, ma anche per il
disordine in cui era precipitato il servizio delle infermiere che
doveva dirigere in qualità di Ispettrice, a causa
dell’arretramento delle linee e dei servizi logistici e
sanitari.
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Contemporaneamente le era stato affidato il compito di
riorganizzare il lavoro delle infermiere dislocate presso
l’ospedale militare italiano di Monaco di Baviera. Dovette
perciò compiere più volte il lungo viaggio da Leopoli a
Monaco fra disagi e pericoli di ogni genere.
La missione sul fronte orientale che si concluse in anticipo sui tempi
previsti, in seguito all’ordine di rimpatrio per tutte le truppe,
mise in luce le sue doti migliori: grandi capacità
organizzative, energia instancabile ed una naturale autorevolezza che
la rendevano adatta a funzioni di comando unita ad una singolare
propensione per i rapporti umani. Decisa e ferma nello stroncare ogni
forma di indisciplina e insubordinazione, inflessibile nel pretendere
serietà nel lavoro e quello “stile” nel
comportamento e nell’apparire che non tollerava un velo storto o
una divisa non perfettamente candida, era altrettanto pronta
all’ascolto e alla comprensione.
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L’unione di queste
qualità apparentemente in contraddizione, seppe creare intorno
alla sua figura apprezzamento e stima da parte dei superiori e
autentico affetto da parte delle sorelle di Croce rossa e dei
collaboratori. Ne rende testimonianza la folta corrispondenza che
conservò con cura per tutta la vita.
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Dopo il rimpatrio fu nominata
commissaria del VI Centro di mobilitazione della C.R.I. di Bologna dal
quale dipendevano tutti gli ispettorati della regione nei quali si
cercava di continuare il lavoro di assistenza non solo ai militari
feriti ma anche alla popolazione civile colpita dai bombardamenti.
Le difficoltà erano
aggravate dal fatto che la C.R.I., spaccata in due tronconi in seguito
agli avvenimenti dell’8 settembre, non era più un punto di
riferimento su cui contare, mentre l’occupazione dei tedeschi
rendeva pericolosa se non impossibile ogni tipo di iniziativa. Nel
corso del ’44 la situazione si aggravò ulteriormente e
Paola Menada fu costretta a sospendere per alcuni mesi la sua
attività.
Nell’estate di quell’anno infatti, al personale della
C.R.I. che operava al di sopra della linea gotica, era stato richiesto
di giurare fedeltà alla repubblica di Salò e sorella
Menada aveva risposto con un netto rifiuto.
Terminata la guerra,
già alla fine di aprile del 1945, Paola Menada fu nominata
Ispettrice regionale con il compito di riorganizzare e rilanciare il
lavoro delle infermiere volontarie nei vari comitati dell’Emilia
Romagna.
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Aveva appena iniziato questa
non facile impresa, quando nell’agosto dello stesso anno le fu
proposto di divenire Vice ispettrice nazionale, incarico che comportava
grandi responsabilità e un radicale cambiamento di vita. Decise
di accettare e nel settembre del ’45 si trasferì a Roma,
varcando la soglia dell’ufficio di via Toscana, sede della Croce
rossa, che per decenni non avrebbe più lasciato. Ufficialmente,
Ispettrice Nazionale delle Infermiere Volontarie era Maria Josè
di Savoia, la principessa crocerossina alla quale era stato affidato
l’incarico nel 1939. Assente per lunghi mesi dall’Italia e
da poco rientrata, si trovava a condividere con la famiglia reale il
clima di pesante difficoltà e incertezza sulle stesse sorti
della monarchia, che precedette il referendum.
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Le era stato imposto di non
prendere iniziative di alcun genere e di restare nell’ombra il
più possibile. E infatti in occasione del primo colloquio
accolse la nuova Vice ispettrice con queste parole: “Mi spiace
darle un impegno così gravoso, io non posso muovermi, lei
dovrà sostituirmi in tutto”.
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Paola Menada restò sempre
legata da un sentimento di grande devozione all’ex regina che le
dimostrò grande stima e fiducia e con la quale aveva stretto
rapporti di amicizia e confidenza che andavano oltre la collaborazione
operativa. Del resto non nascondeva la sua incondizionata
fedeltà agli ideali monarchici che non rinnegò mai.
Dopo la partenza della famiglia reale, sorella Menada assunse in pieno
ogni responsabilità nella guida delle crocerossine, ma la nomina
ufficiale di Ispettrice Nazionale giunse soltanto nel
1951: il suo grado corrispondeva a quello di generale di corpo
d’armata, secondo una disposizione in vigore dai tempi della
grande guerra e voluta da Elena d’Aosta, che riconosceva al
personale della C.R.I. l’equiparazione dei gradi a quelli
corrispondenti dell’esercito.
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Nell’immediato
dopoguerra Paola Menada organizzò la mobilitazione delle
infermiere volontarie di ogni parte d’Italia per il rimpatrio
degli ex prigionieri di guerra, per assistere i reduci ammalati di
tubercolosi e tifo, per i quali la C.R.I. aveva predisposto numerose
strutture sanitarie, e alleviare le condizioni dei tanti profughi di
varia provenienza accolti in campi di fortuna.
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Cessata l’emergenza, nel
1951 organizzò l’invio di un gruppo di crocerossine in
Corea e avrebbe voluto seguirle di persona, memore della sua esperienza
in tempo di guerra; ma la sua domanda fu respinta dai superiori che
ritenevano indispensabile la sua presenza in Italia.
Paola Menada restò
sempre coerente con gli ideali che l’avevano sostenuta fin dai
suoi esordi , primo fra tutti il principio del volontariato, valore per
lei assoluto e indiscutibile che la rendeva contraria ad ogni proposta
di attività in parte remunerata, perché in quel caso non
si sarebbe più potuto parlare di “infermiere
volontarie”.
Del tutto intransigente nel
difendere l’immagine più tradizionale della crocerossina,
opponendosi anche all’interno dell’istituzione a chi la
metteva in discussione, seppe però far convivere questi valori
con l’esigenza di modernizzazione del Corpo in sintonia con la
rapida trasformazione della società in corso in quegli anni.
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Perciò sotto la sua
guida sempre maggiore divenne il coinvolgimento delle crocerossine in
attività di vera e propria protezione civile in occasione di
eventi catastrofici e di pari passo con l’evoluzione della
tecnologia, si adoperò per promuovere nuove specializzazioni
all’interno del Corpo (pronto soccorso in caso di attacco
nucleare, corsi di medicina aeronautica per aviosoccorsi sanitari su
aerei, elicotteri, anfibi e idrovolanti, creazione di gruppi
selezionati per il soccorso in montagna e paracadutismo) per rendere
più rapido ed efficiente l’intervento in ogni tipo di
calamità.
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Così nei decenni
successivi le Infermiere volontarie costantemente di trovarono a
prestare la loro opera sui luoghi dei più gravi eventi
catastrofici che colpirono il nostro paese; in occasione della
disastrosa alluvione del Po nel ’51, 2400 volontarie si
alternarono per mesi sul posto e altrettanto generoso fu il loro
contributo nei soccorsi alle popolazioni quando si verificarono il
disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, i terremoti di
Tuscania, del Belice e di Ancona. Pronte ad intervenire anche al di
fuori del territorio nazionale le Infermiere volontarie prestarono il
loro aiuto durante l’alluvione dell’Olanda nel 1953 e in
occasione del terremoto di Agadir in Marocco.
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A metà degli anni
’60, il Corpo contava 15000 infermiere volontarie, delle quali
3000 in ruolo attivo e 12000 di riserva; assimilate al rango del
personale direttivo militare potevano essere mobilitate nelle 24 ore,
come avviene nell’esercito per gli ufficiali di complemento, in
caso di calamità improvvise. Nello stesso periodo, i corsi per
conseguire il diploma coinvolgevano in media circa 1000 allieve
all’anno.
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Paola Menada, nel corso degli
anni prestati al volontariato nella Croce rossa, ricevette
riconoscimenti ed onorificenze di grande prestigio.
Nel 1949 ricevette la medaglia intitolata a Florence Nightingale,
massimo riconoscimento per le crocerossine, unico nel biennio
’48-49 ad essere concesso in Italia, con queste motivazioni:
“Grande spirito di organizzazione per il suo carattere fermo e
deciso, per il suo senso di responsabilità ed equilibrio.
Durante la guerra comunicò il suo coraggio e la sua forza
d’animo alle collaboratrici e ai malati degli ospedali”.
Seguirono la Gran Croce al merito della C.R.I., la Croce al merito
della Croce rossa olandese nel 1958 per il soccorso prestato durante
l’alluvione e l’ospitalità offerta ai bambini
olandesi nel nostro paese e infine la Victoria Cross ricevuta dalla
regina Elisabetta nel 1961, in occasione della sua visita in Italia.
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Nel 1966 fu la volta di un
importante riconoscimento di carattere internazionale, al di fuori
dell’ambiente della Croce rossa: il premio Isabella d’Este,
conferito a 12 donne che si fossero distinte in vari settori di
attività, scelte in ambito mondiale fra 30000 candidate.
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Sorella Menada fu premiata per
l’assistenza sociale, in quanto, in veste di Ispettrice
Nazionale, in tempo di guerra e in occasione di calamità,
“ aveva contribuito con il Corpo delle Infermiere Volontarie
della C.R.I. a lenire le sofferenze di questa umanità
così colpita da immani sciagure”.
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Paola Menada lasciò
l’incarico di Ispettrice Nazionale nel maggio del 1976.
Comunicò alle sorelle le imminenti dimissioni con una lettera
informale che iniziava con queste parole: “Gentile
sorella”, scriveva, “ questa è la lettera più
difficile che io abbia mai dovuto scrivere in questi lunghissimi
anni”. Obbediva ad una disposizione che lei stessa aveva
appoggiato, che imponeva il ritiro obbligato, dopo i settant’anni
dall’incarico di Ispettrice, ma la sua decisione era dettata
soprattutto dalla convinzione che fosse giunto per lei il momento di
congedarsi, “prima che l’età, la stanchezza, spesso
le amarezze che in questi anni non ci sono state risparmiate,
offuschino la fede ardente negli ideali della Croce rossa che fino ad
oggi mi ha sostenuto”.
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La lettera si concludeva con
queste parole: “Gli anni trascorrono rapidissimamente, i giovani
incalzano, molte cose dovranno e potranno giustamente cambiare e
modificarsi: a noi resterà il grande conforto di aver gettato in
umiltà ma con tanta fede, in numerosissime schiere di sorelle,
il buon seme della magnifica idea di Croce rossa”.
Il rientro nella sua città natale fu accompagnato da
innumerevoli messaggi di saluto, di stima e di affetto. Ancora una
volta conservò con la stessa cura e rispetto telegrammi, lettere
e biglietti provenienti da alte personalità come da semplici
sorelle di ogni parte d’Italia.
Condusse una vita appartata e schiva fra gli affetti familiari, senza
mai ostentare l’importanza dell’incarico ricoperto o il
prestigio dei riconoscimenti ottenuti, a proposito dei quali dichiarava
di prediligere la semplice croce di bronzo rilasciata ad ogni
combattente. Continuò il volontariato collaborando per alcuni
anni con il locale comitato della C.R.I., poi, finché le
condizioni di salute glielo permisero, servendo ai tavoli della mensa
del vescovo.
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Sorella Paola Menada è mancata il 22 ottobre del 2002.
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