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Brevi cenni biografici.
(tratti da "Storie di Famiglia" di Luisa Bosi).
Giuseppe Menada nacque il 27 agosto 1858 a Pecetto
di Valenza in provincia di Alessandria, settimo di 16 figli, dei quali 10
giunsero alla maggiore età, da Alfonso Menada e da donna Erminia Gusberti.
Il padre, proprietario di terreni coltivati
soprattutto a vigna, apparteneva ad una famiglia assai stimata e di antiche tradizioni (il nonno era stato sindaco di Valenza e uno zio
aveva ricevuto dal re un titolo nobiliare), la madre proveniva da una famiglia di alto livello sociale e di buone parentele nell'ambiente milanese.
Le condizioni economiche della numerosa famiglia, che Alfonso portò ad abitare in una vasta dimora, detta “ la Certosa”, essendo un ex
convento di monaci, non erano particolarmente floride e questo impose un tenore di vita dignitoso ma austero ed improntato alla sobrietà e alla parsimonia.
Perciò i figli maschi entrarono precocemente nel mondo del lavoro, non potendosi permettere il mantenimento a studi di lunga durata.
Giuseppe Menada, dopo alcuni anni di studio compiuti in parte presso un collegio di Casale e in parte a Piacenza, conseguì un diploma di tipo tecnico
e a 17 anni partì per Milano dove già si trovava un fratello maggiore, per trovare a sua volta un impiego. Alloggiava in camere d'affitto presso famiglie private,
aiutava il fratello nel suo lavoro di rappresentante di commercio e si iscrisse a corsi serali per imparare l'inglese e migliorare il francese. Le scarse
risorse economiche della famiglia gli imposero, nei primi tempi del suo soggiorno milanese, un continuo controllo delle spese per evitare ogni spreco: possedeva
un solo abito di lana che portava anche nei mesi estivi, faceva riparare il cappello, non potendosi permettere l'acquisto di uno nuovo e rinunciò
del tutto al fumo, come racconta in alcune lettere al padre.
Nel 1876, a 18 anni, fu assunto come “applicato” presso l'ufficio di protocollo delle Strade Ferrate
Alta Italia con lo stipendio di 100 lire al mese, iniziando così dal grado più modesto la sua carriera nell'ambito delle ferrovie.
Alla fine del 1878 fu chiamato
alle armi e, su sua richiesta, fu arruolato nella “Brigata Ferrovieri” di Torino. Congedato nell'agosto del 1881, riprese il suo posto nelle Ferrovie e fra il 1884
e il 1885, già ricopriva un ruolo di notevole responsabilità dal momento che partecipò ad una delegazione presso il Ministero dei lavori pubblici, per fissare le
convenzioni che avrebbero regolato le concessioni nei decenni successivi.
Le Ferrovie Alta Italia nel 1885 si riorganizzarono e assunsero la nuova denominazione
di Rete Mediterranea. La Mediterranea era controllata da un gruppo finanziario di cui facevano parte istituti di credito come la Banca di Torino, la Banca di Napoli
e la Banca Subalpina di Milano che amministravano direttamente attraverso propri rappresentanti di fiducia le società create allo scopo di dar vita a imprese
industriali e infrastrutture. In questo ambito nel 1886 fu offerto a Giuseppe Menada l'incarico di Ispettore della società SAFRE (società anonima ferrovie reggiane)
a cui la provincia di Reggio Emilia aveva concesso a titolo di appalto la realizzazione e la gestione della rete di ferrovie locali allora in costruzione. Giuseppe
Menada approdò così nella città emiliana con il delicato compito di uomo di fiducia della Banca Subalpina, ruolo che mantenne e rafforzò quando tale istituto fu
assorbito dalla Banca commerciale (COMIT).
Da ispettore divenne presto direttore d'esercizio, in seguito direttore generale e nel 1920 presidente della società.
I contatti con il mondo della finanza furono determinanti per accrescere il suo prestigio nell'ambiente della provincia reggiana, ancora legato in gran parte ad
un'economia essenzialmente agricola e quasi del tutto privo di industrie.
Nel 1895, grazie a un'accorta amministrazione e all'afflusso provvidenziale di finanziamenti,
riuscì ad operare il salvataggio dal fallimento della “Calce e gesso” di Scandiano, che era, non solo l'unica industria di qualche rilievo della provincia, ma anche
la più importante cliente della SAFRE .
Il successo ottenuto valse ad aprirgli le porte del locale mondo degli affari e nel 1898, entrato come consigliere a far parte d
ella Camera di commercio l'anno precedente, ne divenne presidente in seguito ad una votazione pressoché plebiscitaria. Mantenne l'incarico fino al 1904, contribuendo
a rendere l'ente camerale più efficiente e moderno.
L'inizio del secolo rappresentò per Giuseppe Menada il definitivo radicamento nell'ambiente cittadino, sia nella vita pubblica e professionale che in quella privata
quando nel 1901 si unì in matrimonio con Maria Spallanzani dalla quale avrà cinque figli.
Nello stesso anno, per sua iniziativa e con il contributo della locale Cassa di risparmio e i finanziamenti della Banca commerciale, aprì i battenti
la “Fonderia Righi”, primo nucleo delle “Officine Meccaniche reggiane”, specializzate nella produzione di materiale ferroviario, delle quali fu presidente
fino al 1912.
Altre industrie sorte per sua iniziativa furono la “Società arti grafiche” e il “Calzificio reggiano”, quest'ultimo destinato a conoscere come
le Officine meccaniche, grande sviluppo e persistenza nel tempo. Oltre al matrimonio, a segnare il radicamento nella sua “patria d'elezione”, intervenne la
partecipazione alla vita politica locale.
Entrato nel 1899 a far parte del Consiglio comunale cittadino, fra le file del liberali moderati, allora all'opposizione,
nel 1904 si pose alla guida dell'Associazione per il bene economico, coalizione di moderati nata con l'intento di sconfiggere i socialisti che da alcuni anni
governavano il comune. La “Grande armata”, come fu ribattezzata la coalizione dagli avversari politici, riuscì a vincere le elezioni del 1904 e per due anni i
moderati governarono la città. Giuseppe Menada però non assunse ruoli politici e quando gli fu proposta la candidatura a deputato al parlamento, rifiutò.
Gli
impegni numerosi e soprattutto il suo ruolo di presidente e amministratore in varie società gli apparivano incompatibili con un'esperienza che avrebbe comportato
uno schieramento di parte e avrebbe forse offuscato quella che era la sua dote principale, da tutti riconosciuta: una grande capacità di mediazione e di equilibrio,
grazie ad aspetti naturali del carattere come la costante serenità d'animo, i modi affabili e la facilità ai rapporti sociali.
Nel corso degli anni raggiunse un benessere economico di tutto rispetto che consentì di garantire alla famiglia un tenore di vita agiato, ma improntato alla
sobrietà e senza ostentazioni. Singolare fu per certi aspetti il suo rapporto con il denaro: non divenne mai proprietario delle case in cui abitò preferendo
l'affitto e neppure acquistò terra e poderi, investimento quasi d'obbligo ai suoi tempi.
Amava infatti dire che possedeva solo due cose, un palco a teatro e una tomba al cimitero monumentale, ambedue acquistati nel 1901.
L'intensità della vita lavorativa non impedì a Giuseppe Menada di prestare attenzione ai bisogni sociali e di mettere in pratica quei valori di solidarietà e
filantropia che la famiglia gli aveva trasmesso, in piena sintonia con la moglie Maria Spallanzani,che diresse per molti anni le crocerossine della provincia
reggiana.
La propensione al volontariato sarà raccolta, divenendo una scelta di vita dalla figlia secondogenita Paola,
Nel 1914 determinante fu il suo intervento per la fondazione della Pubblica Assistenza Croce verde,istituzione che era sorta a Reggio nel 1912 con intenti
generosi e grandi speranze ma quasi impossibilitata ad operare per scarsità di mezzi e di organizzazione. Giuseppe Menada, ampliando, grazie alla sua vasta
rete di rapporti, le adesioni e gli aiuti concreti, riuscì ad offrire un servizio di soccorso pronto ed efficace alla cittadinanza, servizio che si basava
quasi esclusivamente sul volontariato offerto da cittadini di ogni ceto sociale.
Divenuto presidente della Croce Verde, assolse l'incarico fino alla morte e,
nel corso degli anni, intervenne con aiuti finanziari, a titolo personale, nei momenti di maggiore difficoltà dell'ente.
Nell'aprile del 1926, Giuseppe Menada fu solennemente festeggiato, ricorrendo il cinquantenario del suo “lavoro ferroviario”. La cronaca dei festeggiamenti,
raccolta in due pubblicazioni stampate per l'occasione, offre una testimonianza significativa della vastità di relazioni, alcune delle quali divenute amicizie
personali, che Giuseppe Menada aveva intessuto nel corso della sua lunga attività, testimoniata dall'impressionante elenco delle società dalle attività più svariate
e dislocate in diverse parti d'Italia e all'estero, di cui faceva parte.
Il comitato promotore delle celebrazioni ottenne 600 adesioni, ben al di là del campo
strettamente ferroviario e fra i numerosi telegrammi di congratulazioni, figuravano nomi di personalità allora notissime come il conte Giuseppe Volpi di Misurata,
Luigi Luzzatti, Giuseppe Toeplitz, Teresio Borsalino, Quest'ultimo personaggio era figlio di Giuseppe Borsalino, fondatore della notissima industria dei cappelli e suo compaesano, essendo nativo di Pecetto di Valenza: il paese nel 1925 gli dedicò un monumento e Giuseppe Menada compose e pronunciò il discorso di inaugurazione.
Gli fu offerta una medaglia d'oro, ma l'omaggio più significativo fu la creazione di una fondazione a lui intitolata, destinata a sovvenzionare il “ Dispensario
lattanti”, istituzione sorta dopo la guerra, per opera sua e della moglie Maria, per assistere madri e bambini in difficoltà.
L'amministrazione della fondazione fu
affidata al comune.
Quando si svolsero le celebrazioni del cinquantenario, da circa un anno Giuseppe Menada era sindaco della città, in seguito alle elezioni amministrazione svoltesi
nel 1925. Aveva infatti accolto l'invito ad offrire la sua candidatura, rivoltogli dal Partito fascista in cerca di figure di prestigio che facessero dimenticare
i metodi violenti ed illegali con cui si era imposto. Nella lista del “Fascio Reggiano di combattimento”, figurava come indipendente, non essendo iscritto al partito, presentato come “industriale e Grand'ufficiale della corona italiana”, onorificenza ricevuta nel 1919, sollecitata da Luigi Luzzatti.
Egli stesso continuava a sentirsi un “vecchio liberale”, come ebbe dire nel discorso pronunciato in occasione dell'insediamento del nuovo consiglio comunale. La sua candidatura suscitò perplessità non solo in ambito liberale, ma anche nei suoi avversari politici che sempre, al di là delle differenze ideologiche, gli avevano riconosciuto onestà e lealtà personali. Significativa in questo senso è una lettera di Antonio Vergnanini, cooperatore socialista reggiano fra i più conosciuti che scrisse; “Essere il Sindaco di Reggio, con tutto il trasporto dell'anima, ma il Sindaco voluto, chiamato dalla libera consacrazione dei cittadini. Ella non può essere il Sindaco dell'illegalità. L'abbraccio con affetto”.
Giuseppe Menada vide probabilmente nel fascismo un mezzo per ripristinare l'ordine, un argine contro il pericolo del bolscevismo e, nel sistema del corporativo,
l'avverarsi di quella “collaborazione fra le classi” che aveva sostenuto vent'anni prima, ai tempi dell'Associazione per il bene economico.
La sua opera di
amministratore pubblico in veste di sindaco e poi dal 1927 di podestà, fu improntata a criteri di razionalità e innovazione. Abolì la cinta daziaria, sostituendo
il dazio con imposte sui consumi, riuscì ad arginare il deficit del bilancio ottenendo finanziamenti governativi e vendendo alcune proprietà del comune.
Per quanto riguarda le più importanti realizzazioni del passato governo socialista, le aziende municipalizzate per i pubblici servizi, non le distrusse in modo
indiscriminato, pur essendo favorevolissimo al liberismo e all'iniziativa privata, ( nel 1925 era divenuto presidente dell'Unione Industriali) ma abolì soltanto
quelle in passivo, mantenendo e riorganizzando quelle efficienti.
Tentò anche, per la verità con scarso successo per la fiera opposizione che ne seguì da parte
degli agrari, di aumentare le tasse fondiarie. Nel 1928 fu ultimato il Mercato coperto, area di 3650 metri quadrati in grado di ospitare 60 negozi e fu avviato
un progetto per la cernita e lo smaltimento dei rifiuti, appaltando il servizio ad una ditta privata.
Molti progetti erano ancora in via di realizzazione, quando nel 1929 l'attività di Giuseppe Menada dovette forzatamente interrompersi per gravi motivi di salute.
Il suo ritiro dalla vita pubblica, avvenne nel riserbo e nel silenzio. Appare sorprendente che “Il solco fascista”, unico quotidiano locale, non avesse dato,
all'epoca, alcun risalto alle dimissioni di un uomo che tanto e così a lungo aveva improntato della sua opera la realtà reggiana, in vari campi, nell'industria,
nella vita amministrativa e politica, nella pubblica beneficenza.
La stampa locale ne riparlerà e ampiamente soltanto due anni più tardi quando solenni funerali, affollatissimi di importanti personalità ma soprattutto di gente
comune, accompagnarono per l'ultima volta Giuseppe Menada, deceduto il 21 di febbraio del 1931.
Da allora calò il silenzio su di una figura singolare per doti di energia e dinamismo unite ad onestà personale ed equilibrio, emblematica di quel fervore di
intenti e volontà di progresso che avevano caratterizzato l'epoca veramente felice ma breve, fra la fine dell'800 e l'inizio del nuovo secolo.
Pesò molto in questo oblio, la contiguità con il fascismo e l'essere stato primo podestà in una città connotata da un fortissimo sentimento di opposizione e
distanza verso il regime.
Soltanto recentemente a partire dai primi anni '90, la figura di Giuseppe Menada è stata giustamente riscoperta e valorizzata, divenendo oggetto di studio da
parte della storiografia economica e sociale.
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