La
scomparsa di un fratello in guerra è un dolore difficile da
immaginare. Mio padre Alfonso, fratello di Piero, forse per
questo motivo ne ha sempre parlato pochissimo con i
famigliari e con gli amici.
Per noi
figli in modo particolare, tutto quanto riguardava la sua
infanzia, la sua adolescenza, i suoi genitori, faceva parte
di materiale conservato in una stanza chiusa a chiave sul
cui contenuto si evitava di chiedere percependo il
disagio a volerne anche solo accennare. Nostra madre, che
sicuramente ne sapeva ben di più di noi,
rispettò la consegna del silenzio, sempre.
Dunque gli anni passarono fino al
novembre 2002, quando mia madre Nuccia Caterina Gavarone
morì all’età di settantasette anni per un mesotelioma che se
la portò via in 6 mesi.
Tra le
persone che contattarono mio padre Alfonso per fare le
condoglianze telefonò un giorno una "tale" Signora Lola
Taddei. Mio padre, alla mia ovvia domanda rispose
semplicemente "è stata
la fidanzata di Piero". La signora Taddei insistette per
incontrare Alfonso e un giorno ci si trovò nel salotto di
casa a chiacchierare con lei. Fu come se Lola avesse avuto
una copia di quella chiave e la porta sembrò spalancarsi di
colpo. Lola parlava di Piero come se lo avesse perso di
vista da qualche giorno, i suoi vividi ricordi disegnavano
il ritratto di Piero per la prima volta dopo almeno
cinquant'anni. Questa entità di famiglia sconosciuta,
nascosta, dimenticata prendeva forma e colore. Io ero
ammutolito.
Scoprimmo
che Lola nel frattempo si era sposata con un uomo delizioso
che sarebbe venuto a mancare nel 2007. Avevano avuto una
vita felice, una figlia, Serenella ed una nipote, Delfina.
Dal nulla sbucarono fotografie;
Alfonso Menada è stato un fenomeno per come ha vissuto la
propria vita; ma un fenomeno silenzioso, riservato, dal
profilo tenuto rigorosamente bassissimo. Suo fratello, nella
sua breve vita, aveva dato ampia dimostrazione di essere
stato pure un fenomeno, ma con modalità opposte. Era il
ritratto dell’energia espressa in tutte le forme possibili.
Ed era un eroe di guerra.
Nelle
settimane che seguirono accaddero episodi del tutto
inaspettati. Lola si trovò casualmente ad un ricevimento
dove le presentarono un ambasciatore russo. Le venne
istintivo domandare al diplomatico se poteva reperire
notizie su un prigioniero di guerra, lui annotò
scrupolosamente il nome e dopo qualche giorno arrivò un fax
in cirillico tradotto in inglese che riportava la scheda del
prigioniero Piero Menada di Benvenuto e Cesarina
Spallanzani. Tornava alla luce un documento che, scritto nel
1943, era rimasto nascosto chissà in quale archivio militare
da allora.
Sempre
nello stesso periodo, la mia auto guidata da un meccanico
della concessionaria urtò lo specchietto retrovisore di una
altra auto e dopo qualche giorno mi contattò il proprietario
che aveva diligentemente annotato la mia targa. Questo
simpatico anziano avendo riconosciuto il mio cognome mi
disse che era stato un grande amico di Piero e che l’ultima
volta che lo vide fu per una incredibile casualità, si
incrociarono mentre le truppe alpine con Piero stavano
andando verso il Don, lui stava ripiegando per tornare in
Italia. Si videro, si abbracciarono e fecero giusto in tempo
per un veloce saluto, poi le loro vite si separarono, per
sempre.
Sempre in
quelle poche settimane che seguirono la morte di mia madre,
la figlia di Lola, Serenella, trovò un libro seminascosto
che parlava degli Alpini. Lo aprì e casualmente lesse il
nome del Tenente Piero Menada, qualche giorno dopo urtò
accidentalmente un mobile che lasciò intravedere una scatola
di metallo. Conteneva tutte le fotografie e le lettere che
Lola e Piero si erano scambiati durante la loro fugace
storia d’amore. Lola era convinta che quella scatola fosse
andata persa durante un trasloco ed il suo ritrovamento fu
del tutto occasionale. Per Serenella quel duplice
ritrovamento fu l’inizio della riscoperta di una parte della
vita di sua madre che aveva potuto solo sospettare.
Serenella iniziò a raccogliere
materiale bibliografico e fotografico mettendo insieme i
pezzi per quello che diventerà il libro che si può leggere
in queste pagine. Fece una cernita di fotografie e di
lettere, mio padre Alfonso non si tirò indietro e fornì foto
e documenti, rividero la luce le medaglie al valore che
Piero si era guadagnato sul campo. Erano in un cassetto
della sua scrivania.
Una ultima annotazione. Alla fine
del conflitto il Corpo degli Alpini fu smembrato. Sparirono
alcuni battaglioni, sparì la quasi totalità delle compagnie,
vi furono accorpamenti e molti nomi e simboli della guerra
furono ceduti per sempre alla storia. La sorpresa fu dunque
enorme quanto Alfredo Costa, un Alpino il cui aiuto fu
determinante nelle commemorazioni che seguirono, comunicò
che la ventiduesima compagnia della brigata Saluzzo della
divisione Cuneense esisteva ancora.
Fu a Cuneo in occasione dello
scoprimento di una lapide in onore di Piero nella caserma
dove è dislocata la “ventiduesima“ che un giovane Alpino
soldato semplice della "ventiduesima" con la voce rotta
dalla commozione mi disse: “ma perché avete aspettato
cinquant’anni per commemorare suo zio ?”.
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