… pag 44
… Nel dicembre (1942), con colpi di sorpresa, gli alpini
penetrano più volte nella difesa dei russi e ne prelevano
sempre qualcuno. Il Don è completamente gelato; tra due
linee non esiste più la barriera del fiume. La 22a Compagnia
del Saluzzo manda pattuglie notturne per individuare la
postazione di “katiusce”. La katiuscia, denominata … è
un’arma nuova dell’artiglieria russa; lancia in pochi
secondi una trentina di proiettili. … In una notte
senza luna il Tenente Piero Menada di Genova conduce una
pattuglia al di là del Don. L’impresa è compiuta a sangue
freddo: i nostri varcano le linee nemiche, rilevano le
postazioni delle katiusce e catturano alcuni soldati, i
quali riescono, però, a gridare l’allarme. Il ritorno dei
nostri è assai contrastato; il Tenente Menada riesce a
riportare il gruppo e fornisce ai Comandi precise
informazioni, tanto che a distanza di poche ore
l’artiglieria mette fuori combattimento le due katiusce.
… pag 60 Novaja Kalitva, 19 Dicembre. … La 22a
Compagnia del Battaglione Saluzzo continua a resistere sul
posto, assicurata, via radio, che sarebbero arrivati in
mattinata i reparti della divisione Julia. Intanto cadono un
centinaio di alpini, e il loro Comandante, Capitano
Percivalle, è gravemente ferito alla regione addominale.
Soccorso dal Capitano Fiorenti, viene trasportato a Novaja
Melitza, dove gli amministro l’estrema unzione e lo invio in
autoambulanza all’ospedale di campo del reggimento. (Il caro
amico Percivalle, gravemente ferito, supererà bene
l’intervento chirurgico e rientrerà salvo in Italia, dove
tuttora vive decorato di medaglia d’argento). Il comando
della 22a Compagnia verrà preso dal Tenente Piero Menada; si
riesce a contenere l’avanzata del nemico, spostando gli
alpini sul versante del Pisello tenuto ancora saldamente dai
fanti del Colonnello Cerci, della Cosseria. … pag. 80
… A mezzogiorno le nostre pattuglie di avanscoperta danno
l’allarme. Il Comandante del Saluzzo ordina di tenere a
spalla le armi automatiche e la maggior quantità possibile
di munizioni; distribuire ad ogni uomo due scatole di carne
e tre gallette; mettersi subito in marcia. Il Battaglione
riprende il cammino, abbandonando tutto quanto non
strettamente necessario al combattimento. Le autocarrette
vengono incendiate perché non hanno più carburante. Uomini,
slitte e muli procedono carichi solamente di armi e
munizioni. La 22a Compagnia (Comandante Piero Menada,
subentrato dopo il ferimento del Tenente Percivalle) si era
trasferita fuori del paese per fermare il nemico
impegnandolo. Alle truppe russe si uniscono ora i partigiani
del “kolkoz”, i quali fino a poco prima avevano
fraternizzato con i nostri; sparano con le armi tenute
nascoste. La 22a è presa tra due fuochi, le perdite sono
sensibili: trenta uomini caduti, una decina di feriti e
congelati per un determinato itinerario: alle mie dipendenze
sono portaferiti, portaordini e fucilieri. … Il
Saluzzo, seguito dal Dronero e dal Borgo San Dalmazzo,
conduce la colonna del 2° Reggimento. Il Generale Battisti è
in testa, con lo stato maggiore della divisione. Dopo 48 ore
raggiungono Popovka alle ore 16,00 del 19 gennaio. Gli
uomini si ricoverano nelle isbe, sfiniti dalla stanchezza,
dalla fame e dal freddo. … A Popovka si spera di
trovare salvezza e un treno per il trasporto di feriti che
di ora in ora crescono di numero. … La sosta a Popovka
è necessaria per dare agio agli alpini di usufruire di un
rancio caldo e di riposarsi e di permettere a una colonna
della 365a Divisione di Fanteria Germanica di proseguire il
ripiegamento. … pag 85 … Lo schieramento: 23a
Compagnia (Capitano Pennacini) collegata con la 15a
Compagnia del Borgo; 22a Compagnia (Tenente Menada);
Compagnia Comando (Capitano Eugenio Granelli); 21a Compagnia
(Capitano Chiaffredo Rabo); la 106a Compagnia armi
d’accompagnamento (Capitano Roberto Barbacani) decentra i
pezzi a ridosso delle Compagnie attaccanti. Al primo
assalto, predominio delle nostre armi automatiche; si avanza
a sbalzi sulla neve. La 21a è subito centrata
dall’artiglieria russa, che fa i primi vuoti nel plotone del
Tenente Giuseppe Abello di Cuneo, il quale cade mortalmente
ferito. … Improvvisamente sull’altipiano di Kopanki
avanzano mastodontici carri armati russi. Il Battaglione è
sottoposto a fuoco incessante. La Compagnia Comando e la 22a
sono le più colpite. La fanteria russa, protetta dai mezzi
corazzati, slitta in basso sulla neve e contrattacca gli
alpini. È un’azione estremamente cruenta; il servizio
portaferiti va diminuendo, perché ben pochi dei miei
aiutanti sono risparmiati dalla mitraglia. Il colle di
Kopanki si va coprendo di cadaveri. … Il combattimento
continua. Alle spalle tuona l’artiglieria divisionale; sono
in azione i pezzi da 47/32, che tirano sui carri armati
russi. È colpito a morte il Capitano Barbacani; era in testa
alla Compagnia d’assalto all’arma bianca … Messi a tacere i
carri armati, il battaglione decimato compie il decisivo
balzo su Kopanki. I russi fuggono. … La notte cala
… Raggiungo il limite del bosco quando sul colle si
accende nuovamente la lotta … sopraggiungono carri
precedentemete occultati dal bosco. Gli alpini sono in un
cerchio mortale; pochissimi ne usciranno incolumi. Incontro
il Maggiore Boniperti intontito e sfinito: barcolla e urla
disperatamente per il disastro. Il nostro Battaglione è
distrutto. … Il Saluzzo ha perduto quasi tutti gli
Ufficiali e i Sottufficiali; sopravvivono poche centinaia di
uomini di truppa. Sono salvi i pezzi della 106a Compagnia
cannoni e della 14a anticarro con un’aliquota di ufficiali.
Abbiamo combattuto a 35° gradi sottozero. I gemiti e le
implorazioni sono altrettante fitte al mio cuore. Ma come
aiutarli? Le slitte sono stracariche di feriti e di
congelati. … La giornata di Kopanki può definirsi la
Parasceve degli alpini del 2° reggimento. Tutti, dal Soldato
al Sottufficiale all’Ufficiale, sono stati degni delle
tradizioni delle penne nere. Conducenti, portaferiti,
telegrafisti, con le sole armi individuali, hanno gareggiato
in ardimento. … Le perdite subite dalla Cuneense, dal
primo giorno della ritirata, ammontano a ottomila uomini.
… Notte di sofferenze e anche di altruismo. Vedo alpini
prodigarsi in generosità, sostenendo compagni esausti o
caricandosi dello zaino di chi soccombe sotto il peso o
ripercorrendo la strada fatta per soccorrere il compagno
accasciato. … pag. 104 Derkupskaja e Nikitovka: 26
Gennaio … Cessata la bufera il mattino del 26 gennaio
si riparte. A Derkupskaja siamo accolti dal fuoco dei mortai
e mitragliatrici piazzati sul campanile della chiesa
diroccata e sulle alture circostanti. Il nostro Generale
anche qui dirige l’azione frazionando la colonna in due
parti. … I partigiani sparano dalle isbe; i superstiti
del Saluzzo e del Borgo entrano di casa in casa colpendo con
la baionetta e il calcio del fucile per economizzare le
munizioni. … Il furore degli alpini è irrefrenabile.
Vicino a me combatte il Tenente Menada; nell’accanimento
della lotta corpo a corpo, non avverte di essere stato
ferito al braccio da un partigiano, che gli ha sparato una
fucilata da poca distanza. Gli fascio la ferita con un lembo
di fodera della sua giacca. … raggiungiamo i reparti
della Cuneense, che combattono a pochi chilometri da
Valujki. … ogni nostro contrattacco s’infrange contro
le superiori forze dei russi. Nonostante lo spiegamento di
forze nemiche da Nikitovka a Valujki, alcuni nostri reparti
filtrano attraverso le maglie fortificate, giungendo a
penetrare in Valujki. … gli alpini danno ancora
battaglia. … Dopo dieci giorni di combattimenti, dopo
duecento chilometri di strada infame e glaciale, le penne
nere della Cuneense, della Julia e i Fanti della Vicenza
sono costretti alla sorte amara. È il 27 gennaio del 1943.
… pag. 128
Valujki dal 28 Gennaio è affollata di
prigionieri italiani, tedeschi e ungheresi. Soldati e
ufficiali, dopo essere stati disarmati e depredati, sono
rinchiusi in grandi edifici. La parola “edificio” non è
appropriata: si tratta in realtà di costruzioni rovinate da
bombardamenti. Qui vivono, per qualche tempo, uomini stanchi
e preoccupati della propria sorte … si difendono per non
soccombere al freddo e alla fame; … Fra loro sono i
mutilati, i congelati, i cancrenosi delle divisioni
Cuneense, Julia, Vicenza e residui della Tridentina. Nella
permanenza a Valujki si hanno rare distribuzioni di vitto;
razioni assolutamente insufficienti: una scatola di piselli
crudi e un pacchetto di “kasa” (preparato di farina bianca)
da bastare per cinque persone. Non abbiamo assistenza
sanitaria, né possibilità di ricevere aiuti dalla
popolazione … Dopo il quinto giorno si parte per
destinazioni a noi ignote. … Nel pomeriggio del 31
gennaio giunge l’ordine di incolonnarsi. Con parole
innominabili le guardie russe ci cacciano fuori, come un
branco di animali, su uno spiazzo battuto dal vento.
Scandito il rituale “davai, bystroy bystroy” (avanti in
fretta), ha inizio la marcia dell’annientamento. Il nostro
corteo di tremila prigionieri si incammina. È una sera
improba per affrontare la steppa; eccezionale il freddo; il
vento preannuncia la tormenta. … Il cammino si protrae tutta
la notte e tutto il giorno seguente e non ha termine ancora.
Ripercorriamo a ritroso la medesima strada della ritirata;
si ritorna verso il Don. Dopo Valujki ci addentriamo nella
steppa … di notte, per non finire sotto i carri armati o
autocarri, che ci accecano con i loro fari, facciamo
acrobazie sulla neve. Il cammino è sfibrante. A tratti
qualche ora di riposo nei pagliai, dove è impossibile
dormire tanto sono stipati di prigionieri; indi si riparte,
si cammina sempre, senza mai ricevere cibo. I più deboli e i
feriti si accasciano ai margini della pista, mentre la
colonna prosegue verso Olijhovatka e Rossosch. Il percorso è
segnato da centinaia di cadaveri, spogliati dalle truppe
russe e con le membra contorte dal gelo: sono le vittime
della ritirata del Don. Al loro fianco e in senso inverso
continuano a cadere le vittime della prigionia. Il 2
febbraio siamo a Rossosch. S’abbatte sfinito nella neve il
Tenente Colles del mio battaglione. Giornata di sole, ma con
raffiche di vento e neve gelata: una burrasca a ciel sereno.
Al nostro arrivo in città la popolazione si avvicina, per
impulso di solidarietà, a salutare i prigionieri italiani,
offrendo pane e patate … vuol dimostrare la sua simpatia
agli Alpini, dai quali ebbe aiuti quando a Rossosch era il
comando del II corpo d’armata alpino. … Dopo Rossosch
riprende la marcia della colonna macilenta: gli uomini con
gli abiti a pezzi tentano di ripararsi dal freddo coprendosi
il capo con una coperta, lottando contro la morte bianca.
Saliamo verso la linea del fronte, un tempo occupata dagli
Alpini. Transitiamo sul posto dove ha combattuto il 2°
Artiglieria … discendiamo un canalone che porta al Don.
Sulla superficie gelata del fiume possiamo dissetarci e
rifornirci d’acqua; la sete finora è stata un tormento come
la fame. Qualche Alpino precipita nelle crepe di ghiaccio,
praticate per attingere acqua. Si va oltre, esausti tra il
gelo e la tormenta, mentre partigiani e soldati, dandosi il
cambio nella guardia, ci spogliano anche delle cose utili.
Molti, cui sono confiscate le scarpe, camminano con i piedi
avvolti in pezze. Ogni tanto qualcuno barcolla; si trascina
a stento, cade. Un soldato di scorta lascia che la colonna
transiti e con una sventagliata di mitra finisce il
disgraziato. Le guardie hanno l’ordine di non lasciar
prigionieri vivi sulla steppa. Resta dietro di noi una scia
macabra di neve arrossata; morti disseminati indicheranno la
strada alle colonne di prigionieri che ci seguiranno. Le
notti di sosta nei capannoni gelidi trascorrono insonni,
lenti e tragiche: ci buttiamo l’un contro l’altro, schiena
contro schiena, per riscaldarci a vicenda; intanto feriti e
congelati dolorano, i febbricitanti delirano … oh Dio! Se
non esistesse la fede a sorreggerci e la tenace volontà di
resistere, sarebbe preferibile spegnere la vita. … Le
marce si susseguono sempre uguali e funeste. Percorriamo
giornalmente trenta-quaranta chilometri, sospinti dalle urla
bestiali della scorta … è in gioco la pelle. Non sappiamo
quanta strada rimane da percorrere. … I russi dicono
che fra due giorni saremo a Krinovaja, dove troveremo “sup”
e “hlep” (minestra e pane). Una mattina in un villaggio ci
rifiutiamo di partire, per stanchezza, fame, esaurimento.
Non abbiamo più forze. … Nonostante le proteste,
dobbiamo partire senza assegnazione di cibo. … Il 17
febbraio 1943 giungiamo al campo di smistamento di
Krinovaja; siamo partiti da Valujki il 31 gennaio. Prima di
entrare facciamo il computo degli uomini sopravvissuti.
Della colonna Catanoso, tremila uomini, all’arrivo a
Krinovaja ne rimangono cinquecento: tra questi sono inclusi
altri italiani, rastrellati lungo il cammino. La sosta fuori
dal campo si protrae per due ore: siamo esposti al gelo
della notte. Poi si entra. Io sono assegnato a un corridoio
senza luce. Appoggio la schiena piagata alla parete
incrostata di ghiaccio. … Alba grigia. Mi accorgo di
aver passato la notte in mezzo ai morti; tre commilitoni
sono immobili ai loro posti … hanno faccia e capelli coperti
di neve. Nei box degli Ufficiali della Cuneense ritrovo cari
amici. … Siamo ventisette persone costrette nello
spazio di solito riservato ad un cavallo. … pag 147
… Nel frattempo è scoppiato il tifo petecchiale … Era da
prevederlo, con quell’accozzaglia di uomini pieni di
pidocchi, soffocati in uno spazio insufficiente, privi di
ogni servizio igienico. … La sera del 4 Marzo 1943, i
prigionieri dell’ARMIR viaggiano in carri piombati …
portando nel sangue i germi del tifo … si viaggia in carri
bestiame stipati da quaranta-cinquanta uomini. I vivi sono
frammisti ai moribondi e ai morti. Nel giro di pochi giorni
siamo coperti di pidocchi … Ogni mattina … i morti vengono
gettati sul ciglio della ferrovia. Si viaggia da otto giorni
senza avere una bevanda. … Bruciati dalla sete
facciamo il turno per succhiare l’umidità che il freddo
condensa in brina sulle pareti e sui bulloni di ferro del
vagone …
|