Da: Nuto Revelli
La strada del Davai
Einaudi, Torino 1966
Re Marcellino, nato a Paesana, Classe 1917, contadino, titolo di studio 3a elementare.


A dicembre (1940) si parla dell’Albania. Pensiamo che sarà un affare poco bello. Si parte da Cuneo un pomeriggio. …
Piove … sono pieno di malinconia. Tocca sempre a me andare di pattuglia. Una sera arriva il Tenente Menada, genovese. Sto lavorando attorno a un camminamento e il Tenente mi dice: «Re, vieni a fare quattro passi stasera? Alle 21,00 trovati in fureria».
Io non ne so niente. Alle 21,00, puntuale, entro sotto la tenda della fureria. Sul tavolo vedo i documenti di Menada, le sue lettere di famiglia, Boniperti sta indicando al Tenente la quota che dovremo raggiungere, ordina di mettere subito in allarme il plotone d’assalto. Poi si gira, mi vede, dice a Menada che io conosco tutte le mulattiere della zona. Telefona al maggiore Vertone, gli dice che la pattuglia sta per partire. Vertone chiede di quanti uomini si compone la pattuglia. Dovremo far fuori i greci di quella casa.
La pattuglia è così composta: il Tenente Menada con il suo attendente Bianco, Nello di Sampeire, ed io. Alle 22,00 raggiungiamo un nostro plotone avanzato, segnaliamo di stare in guardia. Superiamo i reticolati. Prima sparpagliati, poi riuniti muoviamo verso la casa. A cento metri sostiamo, ascoltiamo. Adesso gli sbalzi sono brevi, sette-otto metri per volta, finché si arriva vicinissimi alla casa.
Menada, un uomo coraggioso, di fegato, che morirà poi in Russia, ci dice: «Io parto per primo. Voi proteggetemi con le bombe a mano». Striscia su per la collina, raggiunge la baita, si alza in piedi. La baita ha il tetto di paglia sfasciato in parte. Menada si sporge verso l’interno, esplora, guarda dentro, nulla. Con un gesto della mano ci fa segno di raggiungerlo. Noi si dice: «Ancora una volta è andata bene. Possiamo tornare indietro». Ma il Tenente ordina di andare ancora avanti, finché non troveremo i greci. Menada ha un po’ di cioccolato di casa e ne distribuisce un pezzo ognuno. Abbiamo un po’ di anice per consolarci. Riprendiamo la marcia e a tratti sostiamo.
Sul fianco della quota dei greci ci sono sette-otto case. Io dico: «Sarà meglio controllarle», e Menada mi risponde: «Bravo Re, va avanti a vedere».
Una delle baite è fatta come una tenda, con il tetto di paglia che scende ripido fino a terra. La baita è deserta, e come Menada mi raggiunge io sento parlare fra le case. «Sì, sì, sento anch’io parlare, – mi dice sotto-voce Menada. – Andiamo avanti, e poi a terra ad ascoltare. Tu Re rimani in coda». Menada e i due alpini vanno avanti. C’è un albero. Piove, il buio è così fitto che sembra un muro. Dietro l’albero c’è una sentinella greca, accovacciata, con il fucile fra le gambe. Tutto il mondo è paese. Il greco non guarda in direzione del nemico, ma verso l’ispezione, proprio come sovente facciamo noi quando siamo in linea. Menada gli arriva alle spalle, è pronto a fargli la cravatta per strangolarlo. Il greco si alza, comincia a passeggiare, tossisce, chiama il capoposto. Arrivano un ufficiale e cinque o sei greci. Menada ed i due alpini, stesi a terra, quasi non respirano più. Io sono tranquillo perché nel buio vedo poco o niente, e un po’ mi sposto avanti finché Nello di Sampeire mi afferra per una manica, mi butta giù, con un filo di voce mi dice: «Guardali lì».
Alle due del mattino siamo sempre fermi immobili sotto la pioggia, mezzi congelati. Mi dico: «Qui viene giorno, tiro fuori il fazzoletto, sventolo la bandiera bianca». Poco lontano c’è un canalone. Menada è il più esposto, il più vicino ai greci e mette a dura prova il suo grande coraggio. Striscia un centimetro alla volta, finché la sua baionetta non incappa in un arbusto e di colpo gli sbatte sul fianco. Altra lunga sosta. Poi, un metro alla volta mi sposto avanti, fino a raggiungere Menada. Il Tenente mi prende per un greco, senza fiatare mi punta una pistola in faccia. Gli dico con voce sottile «Tenente» e lui chiede notizie degli altri. Strisciando ci ricongiungiamo. Nel canalone siamo come a casa nostra. Menada ci dice: «Nessuno saprà mai quello che abbiamo fatto. A colpi di bombe a mano potremmo ancora far fuori i greci delle case. Ma abbiamo già rischiato troppo. Non disturbiamoli». …