… A dicembre
(1940) si parla dell’Albania. Pensiamo che sarà un affare
poco bello. Si parte da Cuneo un pomeriggio. … Piove …
sono pieno di malinconia. Tocca sempre a me andare di
pattuglia. Una sera arriva il Tenente Menada, genovese. Sto
lavorando attorno a un camminamento e il Tenente mi dice:
«Re, vieni a fare quattro passi stasera? Alle 21,00 trovati
in fureria». Io non ne so niente. Alle 21,00, puntuale,
entro sotto la tenda della fureria. Sul tavolo vedo i
documenti di Menada, le sue lettere di famiglia, Boniperti
sta indicando al Tenente la quota che dovremo raggiungere,
ordina di mettere subito in allarme il plotone d’assalto.
Poi si gira, mi vede, dice a Menada che io conosco tutte le
mulattiere della zona. Telefona al maggiore Vertone, gli
dice che la pattuglia sta per partire. Vertone chiede di
quanti uomini si compone la pattuglia. Dovremo far fuori i
greci di quella casa. La pattuglia è così composta: il
Tenente Menada con il suo attendente Bianco, Nello di
Sampeire, ed io. Alle 22,00 raggiungiamo un nostro plotone
avanzato, segnaliamo di stare in guardia. Superiamo i
reticolati. Prima sparpagliati, poi riuniti muoviamo verso
la casa. A cento metri sostiamo, ascoltiamo. Adesso gli
sbalzi sono brevi, sette-otto metri per volta, finché si
arriva vicinissimi alla casa. Menada, un uomo coraggioso,
di fegato, che morirà poi in Russia, ci dice: «Io parto per
primo. Voi proteggetemi con le bombe a mano». Striscia su
per la collina, raggiunge la baita, si alza in piedi. La
baita ha il tetto di paglia sfasciato in parte. Menada si
sporge verso l’interno, esplora, guarda dentro, nulla. Con
un gesto della mano ci fa segno di raggiungerlo. Noi si
dice: «Ancora una volta è andata bene. Possiamo tornare
indietro». Ma il Tenente ordina di andare ancora avanti,
finché non troveremo i greci. Menada ha un po’ di cioccolato
di casa e ne distribuisce un pezzo ognuno. Abbiamo un po’ di
anice per consolarci. Riprendiamo la marcia e a tratti
sostiamo. Sul fianco della quota dei greci ci sono
sette-otto case. Io dico: «Sarà meglio controllarle», e
Menada mi risponde: «Bravo Re, va avanti a vedere». Una
delle baite è fatta come una tenda, con il tetto di paglia
che scende ripido fino a terra. La baita è deserta, e come
Menada mi raggiunge io sento parlare fra le case. «Sì, sì,
sento anch’io parlare, – mi dice sotto-voce Menada. –
Andiamo avanti, e poi a terra ad ascoltare. Tu Re rimani in
coda». Menada e i due alpini vanno avanti. C’è un albero.
Piove, il buio è così fitto che sembra un muro. Dietro
l’albero c’è una sentinella greca, accovacciata, con il
fucile fra le gambe. Tutto il mondo è paese. Il greco non
guarda in direzione del nemico, ma verso l’ispezione,
proprio come sovente facciamo noi quando siamo in linea.
Menada gli arriva alle spalle, è pronto a fargli la cravatta
per strangolarlo. Il greco si alza, comincia a passeggiare,
tossisce, chiama il capoposto. Arrivano un ufficiale e
cinque o sei greci. Menada ed i due alpini, stesi a terra,
quasi non respirano più. Io sono tranquillo perché nel buio
vedo poco o niente, e un po’ mi sposto avanti finché Nello
di Sampeire mi afferra per una manica, mi butta giù, con un
filo di voce mi dice: «Guardali lì». Alle due del mattino
siamo sempre fermi immobili sotto la pioggia, mezzi
congelati. Mi dico: «Qui viene giorno, tiro fuori il
fazzoletto, sventolo la bandiera bianca». Poco lontano c’è
un canalone. Menada è il più esposto, il più vicino ai greci
e mette a dura prova il suo grande coraggio. Striscia un
centimetro alla volta, finché la sua baionetta non incappa
in un arbusto e di colpo gli sbatte sul fianco. Altra lunga
sosta. Poi, un metro alla volta mi sposto avanti, fino a
raggiungere Menada. Il Tenente mi prende per un greco, senza
fiatare mi punta una pistola in faccia. Gli dico con voce
sottile «Tenente» e lui chiede notizie degli altri.
Strisciando ci ricongiungiamo. Nel canalone siamo come a
casa nostra. Menada ci dice: «Nessuno saprà mai quello che
abbiamo fatto. A colpi di bombe a mano potremmo ancora far
fuori i greci delle case. Ma abbiamo già rischiato troppo.
Non disturbiamoli». …
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